È un piovoso e uggioso sabato pomeriggio di inizio dicembre. Le giornate sono corte, al limite massimo della loro contrazione temporale. I giorni più corti dell’anno corrispondono anche all’inizio del tempo dell’Avvento, che è il tempo dell’attesa del Natale e dell’inizio del nuovo anno liturgico. È in questo pomeriggio che le diverse comunità Masci della Zona di Verona si sono date appuntamento a Ronco all’Adige per un momento di preparazione e di formazione.

A lanciare la proposta e ad organizzare il tutto è stata la commissione di Zona assieme a don Luigi appena trasferitosi appunto a Ronco come nuovo coparroco. Prima riflessione. Il Masci di Verona sembra aver trovato nella zona un nuovo centro propulsivo, un motore capace di mettere in moto idee, iniziative e incontri. Oltre alle dimensioni della comunità e della Regione ci è offerta anche questa ulteriore possibilità. È occasione importante soprattutto per le comunità o i singoli che faticano a trovare stimoli per proseguire il proprio cammino. Ed è questo un motivo per rendere grazie: essere chiesa – e chiesa sinodale – è in fondo anche questo: non contare mai esclusivamente sulle proprie forze, perché faremmo ben poca strada (e non solo per il limite dell’età e degli acciacchi), e passare continuamente dalla posizione della autoreferenzialità a quella dell’affrontare assieme la complessità della realtà.

Don Luigi ci accoglie nel primo pomeriggio nella cappella sottostante l’enorme e moderna chiesa parrocchiale per un momento di preghiera e per il “lancio” dell’esperienza.  Il tema conduttore di queste ore è tipicamente natalizio ma profondamente radicato nella esperienza che ogni persona fa’ nella propria vita: il tema del “Rinascere”. Come Nicodemo (Gv. cap.3) che va a trovare Gesù di notte, quasi di nascosto dai “suoi”, perché è incuriosito da questo giovane predicatore, capace di parlare con l’autorevolezza dei profeti anche noi ci sentiamo rivolgere l’invito a fare l’esperienza di “rinascere”, rinascere continuamente, da giovani, da adulti, da vecchi. Non in senso materiale (come obietta assurdamente Nicodemo) entrando nel grembo di nostra madre ma lasciandoci rigenerare dall’Acqua e dallo Spirito, ovvero dai sacramenti e dalla nostra esperienza di fede vissuta nella chiesa. E, se ci pensiamo, la chiesa, come la fede, non sono cose statiche ma realtà che avvengono in momenti ed esperienze precise. Siamo chiesa quando viviamo momenti come quelli di sabato pomeriggio. Viviamo la fede quando sappiamo sentirci “un cuor solo e un’anima sola” attorno all’eucaristia, come è successo sabato pomeriggio. Esser chiesa non è appartenenza ma esperienza, così come è esperienza la fede che professiamo. Questo per dire che è necessario apprendere a nascere o rinascere in ogni momento. Anche attraverso occasioni di incontro come quelle di sabato. Per questo sono importanti i gruppi, le iniziative, le proposte, siano esse di servizio, di formazione o di preghiera.

Ad esemplificare questo tema straordinario del “rinascere” (se ce ne fosse bisogno per non rischiare di rimanere campati per aria) è stata la persona del direttore della Casa San Giuseppe che ci ha parlato di quella realtà fondata dalla leggendaria figura di don Giuseppe Girelli per accogliere, cinquanta e passa anni fa’, le persone degli ergastolani che venivano dimessi dai penitenziari e che non avrebbero potuto trovare, dopo una vita vissuta in un regime di più o meno totale segregazione, un facile reinserimento nella vita sociale. Don Girelli ha trascorso la sua vita di prete a partire dagli anni trenta del secolo scorso visitando le carceri di tutta Italia e prendendosi a cuore la sorte di tutti i carcerati. La Casa di Ronco all’Adige è stato il frutto finale di una vita spesa al servizio di queste persone: serviva a dare uno spazio e un luogo di accoglienza a quanti ritrovavano la “libertà” dopo una vita di detenzione. Tantissime cose sono cambiate da quando don Girelli ha iniziato la sua straordinaria missione, ma tanto ancora resta da fare. Soprattutto a livello di pregiudizio, di modo di pensare, proprio in relazione al sistema carcerario. Proviamo a chiederci, tanto per fare una prova, quanto, ogni volta che ci rapportiamo al carcere, a livello individuale o di gruppo, prevalga il sentimento della vendetta o della giustizia e quanto invece prevalga il sentimento dell’umanità, della fiducia nel riscatto della persona. Quanto ci fermiamo all’errore, magari molto grave, commesso e quanto siamo capaci, invece, di credere nelle possibilità che ogni persona porta con sé?  Oggi la casa di don Girelli a Ronco accoglie persone riconosciute incapaci o non del tutto capaci di intendere e volere nel momento in cui hanno commesso un reato. Chi ci ha parlato ci ha assicurato – e noi ci crediamo fermamente – che il riscatto è sempre possibile. La violenza e il delitto sono in fondo una grande forma di fragilità e di debolezza, da cui è possibile essere guariti. Basta incontrare le persone giuste, basta essere inseriti – perché no? – nelle strutture adeguate. E soprattutto: non è mai troppo tardi per cambiare, cambiare, per ritornare nuovi. Anche il peggior delitto per paradosso può diventare il punto più basso dell’abisso, toccato il quale ci può esser data la grazia di risalire di “rinascere”, appunto. Un tema complesso e straordinariamente affascinante che può aprire strade e cammini nuovi a tutte le nostre comunità.

Al termine della presentazione nella cappella ci siamo incamminati sull’argine dell’Adige per raggiungere, dopo esser entrati quasi in punta di piedi nella casa di don Girelli ed aver accostato alcuni dei suoi abitanti, la bella chiesa di Scardevara dove abbiamo celebrato l’Eucaristia. Ogni gruppo ha portato il proprio segno, o la propria riflessione sul tema della rinascita. Forse quello che abbiamo espresso è stato solo un balbettio maldestro e impreciso, una specie di eco inadeguata dopo l’enormità dell’esperienza che abbiamo ascoltato poco prima. Di una cosa siamo stati assolutamente sicuri: ci sono esperienze che ci lasciano senza parole tanto sono grandi e complesse. Ogni esperienza andrebbe ripresa e meditata perché il non detto è infinitamente più grande di quello che riusciamo ad esprimere. È il grande tema del silenzio che il nostro vescovo ci invita a vivere come la principale dimensione dell’ascolto e dell’accoglienza dell’Altro, che è il nostro fratello e sorella ma anche quel Dio in cui crediamo, un Dio Vivo che ci viene incontro ogni giorno nella novità e nella bellezza della vita.

Esperienze come quella di oggi (quattro ore o poco più) sono in fondo come dei piccoli squarci attraverso cui poter ammirare e contemplare qualcosa di molto più grande di noi. Sicuramente non abbiamo capito tutto del problema delle carceri. Abbiamo semplicemente accostato una persona e la sua opera, un prete (uno di quegli indimenticabili “pretoni” del secolo scorso che tanto hanno fatto per la vita dei nostri paesi e delle nostre comunità) che si è giocato la vita e il ministero per mettere in pratica l’importante opera di misericordia corporale presente in Mt.25: “Ero in carcere e siete venuti a trovarmi”.  Non so se prendo un abbaglio: se si è trattato di una illusione o di un fatto reale, ma il ritorno alla chiesa parrocchiale di Ronco nel buio e nel freddo della sera sull’argine dell’Adige è stato o poteva essere occasione per lasciar risuonare in noi e nelle nostre conversazioni fraterne l’eco della grande esperienza fatta: l’accostamento all’opera di don Girelli e la celebrazione comunitaria dell’Eucaristia. Camminare fianco a fianco può essere sempre occasione per scambiarci in libertà pareri su quanto l’esperienza ci ha toccati. La formazione avviene sulla strada: “il ritmo dei passi ci accompagnerà”.

Giunti a Ronco abbiamo, come sempre, condiviso la cena.  Una gustosissima pastasciutta che le signore della parrocchia hanno preparato per noi e per i ragazzi delle medie, a cui hanno fatto seguito gli affettati e i dolci che ogni comunità ha portato.

Un grazie enorme a chi ha reso possibile questa esperienza. Con l’impegno a non lasciarla rinchiusa nel pomeriggio uggioso in cui è avvenuta. Queste parole scritte possono servire per il sito Masci, a far partecipi chi non c’era, ma in primo luogo a permettere a chi era presente di ritrovarsi in quell’esperienza … di ritrovarsi in essa e magari di trovare il modo di continuarla nella riflessione e nell’approfondimento della propria comunità. Buona strada e tutti e a tutte e … buon Natale.

 

Stefano Costa

Masci La Soca Caldiero