Un consiglio regionale differente. E’ stata una specie di piccola sfida: chi l’ha detto che le formule e
i modelli che ci accompagnano da tempo non possano essere modificati, o anche stravolti
completamente? Il consiglio regionale del 22 aprile svoltosi nella parrocchia della Sarmeola
passerà alla storia come un consiglio regionale che, senza immaginarci rivoluzioni eclatanti, ha
segnato una piccola svolta nel cammino del Masci. La formula dei nostri consueti incontri è
abbastanza nota e rodata: una paio di ore, di sabato pomeriggio incastonate in un calendario
settimanale di impegni di ogni tipo, in cui si cerca di concentrare relazioni, appuntamenti, ratifiche
di decisioni assembleari, pratiche amministrative riguardanti l’andamento regionale
dell’associazione. Generalmente tutti arrivano di corsa dagli angoli più disparati della regione, con
l’orologio in mano, pronti ad andarsene allo scadere dell’orario per altri impegni che attendono la
serata del sabato. Si sa cosa significano le ore del sabato pomeriggio: ore di libertà dai ritmi di
lavoro settimanale ma che diventano, o rischiano di diventare, ancor più stressanti e frenetiche per
gli innumerevoli impegni di carattere familiare, parrocchiale o associativo. Ore in cui non bisogna
perder tempo perché in esse si riesce a concentrare impegni e appuntamenti che servono a tutta la
settimana. Una sorta di tempo concentrato, che serve da snodo, da raccordo per il resto del tempo
del nostro vivere. È per questo che di solito queste ore non possono eccellere in profondità e in
distensione. Per tutti questi motivi siamo abituati al fatto che dai nostri consigli regionali non
possiamo trarre motivi e spunti per conoscenze profonde e per l’approfondimento di relazioni ma
solo per decisioni, dibattiti e comunicazioni. Ma chi dice che le cose debbano sempre andare così?
Che questi incontri debbano avere sempre e solo il carattere di una risposta a problematiche
burocratiche organizzative e logistiche?
Ed ecco la sorpresa. È successo appunto che a Sarmeola abbiamo vissuto un consiglio regionale
diverso dal solito. Per i tempi che ci sono stati dati in primo luogo. E poi per la relativa scarsità, per
non dire assenza, di impegni e di urgenze da espletare. Ci siamo incontrati di mattino. Abbiamo
iniziato alle dieci e mezzo, non certo di buon mattino. C’era tutto il tempo di arrivare con calma e
relativamente rilassati e riposati.
Il cerchio con il canto e la preghiera iniziale è stato molto importante. A differenza di come di solito
ci capita di fare la preghiera non è stata una cosa frettolosa, quasi una formalità che siamo
obbligati a sbrigare, ma il vero e proprio lancio che ha permesso il decollo delle ore che abbiamo
successivamente passato assieme. È stato proposto il testo evangelico della liturgia della
domenica: I discepoli di Emmaus (Lc 24, 13 – 35). Sappiamo tutti di cosa si tratta ma forse non
sarebbe male andare a rileggercelo di nuovo. È uno dei testi programmatici della vita della
comunità. Certo tutto il vangelo lo è, ma questo in modo particolare. Il testo è stato un po’ come
uno specchio che ci ha accompagnati e in cui abbiamo avuto la possibilità di ritrovarci. Don
Gianluca ce l’ha detto nel suo commento. Due discepoli se ne stanno andando via da
Gerusalemme: di uno l’evangelista Luca dice che si chiama Cleopa, del secondo, invece, non dice il
nome. Probabilmente il suo intento è proprio quello di lasciare a chi legge la possibilità di mettere
sé stesso in quel personaggio. Monica e Lionello ci hanno poi invitato ad immergerci
immediatamente nel lavoro di gruppo. In realtà non c’era granché da discutere e da risolvere. Non
c’erano questionari, riflessioni da fare o drammatizzazioni da preparare. L’abbiamo intuito subito.
Dovevamo ”lasciarci coccolare nel nostro essere magister”. E abbiamo compreso un po’ che
questo “lasciarci coccolare” corrispondeva un po’ all’operazione dei due discepoli del vangelo a cui
si affianca il Maestro. Noi siamo un po’ come loro: abbiamo il Risorto al nostro fianco ma non lo
riconosciamo, almeno non immediatamente. L’esperienza dell’incontro con il Risorto, della vita
cristiana, non è una cosa naturale, immediata, è possibile se si cambia registro, se ci si lascia
convertire. Lui, il Risorto, cammina al nostro fianco (il tema del cammino, della strada) e ci stimola
a venir fuori dal nostro guscio, a presentarci, a raccontarci, ovvero a dire con le nostre parole
disilluse, stanche, e forse demotivate, quello che è successo. E proprio nel raccontarci, nell’aprire il
nostro cuore cominciamo a sentire un certo sollievo, a vedere una luce, a sentirci meglio. “Non ci
ardeva forse il cuore nel petto mentre conversavamo lungo il cammino?” Dovevamo raccontare un
po’ quello che ci sentivamo passare nel cuore come magistri. Ed è quasi superfluo dire cosa può
esser venuto fuori: più o meno i discorsi “pre-pasquali” dei due discepoli… “Speravamo che fosse
colui che avrebbe liberato Israele … le donne che sono andate al sepolcro trovandolo vuoto”… La
nostra situazione di comunità che invecchiano, in stallo, che si vanno riducendo con l’avanzamento
dell’età e delle forze fisiche, anche – diciamocelo – con il venir meno di qualche suo componente
significativo … Eppure non manca la voglia di mettersi in gioco, ma si ha l’impressione che si stia
girando a vuoto, che dietro di noi non ci sia nessuno a seguirci, di essere gente che “ha fatto il suo
tempo”. Parliamo per noi, Masci, ma in modo generale, anche per tutta la Chiesa. Cleopa e il
compagno che se ne vanno via da Gerusalemme dopo “aver sperato” sono appunto persone che
hanno smesso di sperare, che coniugano il vergo sperare al passato, mentre la speranza riguarda il
presente e il futuro, persone disilluse che, con l’evento tragico della croce, si son viste crollare il
mondo addosso. Ma non è così anche con noi? Anche se in modo meno traumatico? E’ difficile
pensare che le cose possano andare in modo diverso da come le abbiamo pensate. Eppure ci
abbiamo messo tanto impegno, tanta energia.
Il tempo dei gruppi è stato troppo breve. Quando Monica e Lionello ci hanno chiamati per mettere
in comune senza alcuna pretesa di sintesi quello che era emerso qualcuno ha detto che eravamo
solo all’inizio. Ancora un po’ l’esperienza dei due che raccontano e che raccontando sentono di
stare bene. Ma c’è un orario: anche i due assieme al Risorto, che continuano a non riconoscere,
arrivano al luogo dove dovevano arrivare: Emmaus. Il tempo vola quando si parla e ci si racconta in
libertà. Non ci sono orologi. Bisogna che qualcuno ci costringa a smettere. Il pranzo poi con la
pastasciutta preparata con semplicità ed eleganza dal gruppo della Sarmeola è l’occasione per
continuare a vivere lo spirito del testo dei discepoli di Emmaus. Chissà perché la tavola è sempre
tanto importante nel Vangelo. Il Risorto viene riconosciuto a tavola, allo spezzare il pane. E in
quello stesso momento scompare. Ma non poteva essere diversamente. I due fanno ritorno a
Gerusalemme. Ritornano da dove erano partiti, non scappano più. Ritornano come missionari,
come annunciatori ad incontrare “gli Undici e gli altri che erano con loro”. E a raccontare loro
“come avevano riconosciuto Gesù allo spezzare il pane”. Annunciano quello che hanno visto, quello
che hanno capito, non da fanatici, da esaltati, ma da umili discepoli coinvolti in una bella
esperienza. Poche parole, pochi movimenti con i quali l’evangelista Luca sintetizza il nascere stesso
della Chiesa. È questo dunque il senso del nostro esserci ritrovati oggi: vivere un’esperienza di
Chiesa, di comunità a partire dalla luce del Risorto, a partire dalla domenica, dal Giorno del Signore
che ci apprestiamo a vivere.
E tutti noi, dopo la bella e (speriamo) utile presentazione del lavoro di Pietro sul nuovo sito
regionale, possiamo fare ritorno alle nostre comunità, rianimati, rincuorati nel nostro mestiere,
meglio dire nella nostra “missione” di magistri, di responsabili. Riconosciamo che magistri lo siamo
tanto poco (“uno solo è il vostro maestro” ci ricorda Gesù in un’altra parte del Vangelo). Quanto è
pesante questa parola! Ma siamo magistri o responsabili perché prima siamo discepoli.
Responsabili nei confronti di altri, dei nostri fratelli, delle nostre comunità delle nostre parrocchie,
perché prima (ovvero oggi) qualcuno si è preso cura di noi. La dinamica mai scontata, eppure a
pensarci tanto semplice, della vita cristiana, della vita delle nostre comunità è sempre questa.
Qualcosa di intuitivo, di spirituale, da viversi a livello esperienziale con il cuore aperto alle
dimensioni della fede e della condivisione concreta, del sentire che è stato bello stare assieme tra
di noi ed aver imparato qualche nome in più.

Stefano Costa                                          VEDI LE FOTO DELL’INCONTRO